Artisti

ESTHER MAHLANGU - South Africa

ESTHER MAHLANGU - South Africa - FONDAZIONE SARENCO
Nel 1989, al Centre Pompidou di Parigi, vidi per la prima volta la ricostruzione della casa dipinta di Esther Mahlangu, all’interno dell’ormai storica mostra ‘Magiciens de la Terre’. Molte opere di questa mostra attirarono la mia stupefatta attenzione: oltre alla Mahlangu le sculture ieratiche di Seni Camara, dal profondo della Casamance guerrigliera, esposte proprio di fronte alla magica Louise Bourgeois, i dipinti voodoo di Cyprien Tokoudagba, le poche ma significative teste guélédé di Amidou Dossou (che poi lascerà il posto e la gloria al suo inseparabile amico beninese Eloi Lokossou).

 Qualche anno dopo decisi di andare in Sudafrica per conoscere a fondo Esther e il suo lavoro. Nella capitale Johannesburg solo gli artisti la conoscevano e la ammiravano: non era ancora oggetto delle attenzioni del sistema internazionale dell’arte e neanche di quello turistico del Sudafrica dopo la fine dell’apartheid.

Trovarla nella sua terra di elezione, lo Mpumalanga, non fu certamente facile finchè, all’improvviso, un cartello ai bordi della strada, indicava: qui abita Esther Mahlangu, la prima donna Ndebele che ha attraversato i mari.
Cominciai a fare delle foto e, quando arrivai di fronte alla sua ormai famosissima casa dipinta, una figura altera e coloratissima apparve dal buio dell’interno verso la luce di un sole accecante: mi guardò sorridente e mi invitò ad entrare. Il suo studio-show room apparve ai miei occhi, abbacinati da tanti colori e da tante forme, come l’interno di uno spazio felice per persone eternamente sorridenti e grate alla vita per esistere in un contesto così stimolante.
Da quel momento le mie visite ad Esther diventarono sempre più frequenti e la nostra amicizia si consolidò.
Fu Jean-Hubert Martin, allora direttore del Pompidou, a scoprire il lavoro di Esther e a proporla nella mostra dei ‘Magiciens’. Da quel momento la Mahlangu ha trasferito i suoi temi pittorici dai muri delle case dei villaggi Ndebele alle tele ed è stata esposta in buona parte dei musei più importanti del mondo. I visti sul suo passaporto sono più numerosi dei suoi anni (oggi ne ha settantacinque portati benissimo) e stanno a dimostrare quanto è apprezzata e stimata nel mondo internazionale dell’arte. Tra le cose più significative da lei realizzate è certamente la facciata del palazzo della BMW a Washington, la macchina dipinta per la collezione internazionale della BMW insieme ad artisti del calibro di Andy Warhol, il suo affresco alla Biennale di Lione in collaborazione con Sol Lewitt.
Dal 2000 in avanti ho organizzato per lei molte mostre in Italia e l’ho invitata due volte alla Biennale di Malindi. Esther è totalmente all’interno della sua cultura Ndebele, che difende e propone in tutto il mondo. Una cultura antica, all’interno della quale agli uomini era riservato il compito di cacciare per sfamare famiglie numerose. Le donne, dovendo rimanere nel villaggio da sole con i figli per periodi anche molto lunghi, avevano deciso di abbellire le facciate delle loro case per accogliere i loro uomini dopo i lunghi periodi di assenza per le faticose e rischiose cacce. In qualche modo la storia si innesta con le donne dei popoli fieramente guerrieri (l’Afghanistan ad esempio) dove la decorazione era affidata al tessuto e al tappeto (vedi gli splendidi namàd centro-asiatici).
Nei primi tempi collocavo Esther tra le più interessanti pittrici ‘astratte’ mondiali, ma fu lei a smentirmi affermando che i suoi dipinti non erano astratti ma puramente decorativi e che gli elementi che si trovavano al centro del dipinto non erano altro che delle stilizzazioni di motivi realistici (la lametta da barba, ad esempio). Tanto più che molto spesso Esther dipingeva e dipinge storie della vita del villaggio Ndebele, che hanno la stessa forza espressiva dei motivi ‘decorativi’. Esther Mahlangu è lei stessa un’opera d’arte, come i suoi accattivanti dipinti: gira il mondo con i suoi anelli di rame per allungare il collo, con gli anelli di rame alle caviglie, con corone di perline colorate in testa e a decorare un feltro coloratissimo che le avvolge il corpo, che sotto è completamente nudo, sia in estate che in inverno. E gli inverni, nello Mpumalanga, non sono certamente più gradevoli di quelli della pianura padana. Mi ricorderò sempre l’impatto che suscitò Esther nei salotti del femminismo ‘colto’ della buona borghesia milanese: lei parlò della sua tribù e delle sue tradizioni per poi arrivare alla sua pittura e, quando le signore ricche e perbene le chiesero se sapeva ballare e cantare, Esther non fece una piega e cominciò ad intonare una straordinaria canzone dello Mpumalanga, muovendo i suoi passi di danza con una grazia estrema.
Questa è Esther Mahlangu: una donna straordinaria, un’artista straordinaria, un esempio assoluto di difesa delle culture autoctone, che non hanno mai accettato di essere inserite nel contesto onnivoro e fagocitante della globalizzazione planetaria.
 
Sarenco